
"Un atto inqualificabile e mai visto in precedenza", attaccano i segretari regionali di categoria. "Dopo 3 anni di trattativa e un faticosissimo accordo, è un oltraggio insopportabile per i 25mila operatori della sanità accreditata del Lazio che in tutti questi anni, pandemia compresa, sono andati ben oltre il proprio dovere per garantire cure e assistenza alle persone e alle comunità. Un atto contrario persino all'etica cristiana a cui l'Aris, associazione dell'imprenditoria sanitaria religiosa, fa sfoggio di richiamarsi. Lo stesso Papa Francesco è più volte intervenuto per stigmatizzare la dignità calpestata di troppi operatori sanitari e per ricordare il diritto alla giusta retribuzione e alle giuste condizioni di lavoro. Ecco, questo è l'esempio parlante di imprenidtori-prenditori che fanno soldi sulla pelle delle persone senza alcun timore né per la faccia o né per la salvezza dell'anima".
"Chi è pagato per fare servizio pubblico deve essere in regola con le leggi e con i rinnovi di contratto e deve rispettare il diritto dei lavoratori al sacrosanto aumento salariale e alle tutele", proseguono Cenciarelli, Chierchia e Bernardini. "Scriveremo formalmente alla Regione Lazio perché intervenga immediatamente sugli accreditamenti. Chi non rispetta le regole e il valore del lavoro deve essere fuori dal Sistema sanitario regionale".
"E intanto prepariamo una mobilitazione durissima", concludono i segretari. "I lavoratori del privato accreditato, che dopo i sacrifici dell'emergenza devono già fronteggiare le incertezze salariali e occupazionali delle tante crisi post-Covid, sono pronti a mettere in campo le azioni di protesta più eclatanti anche contro Aris Lazio, oltre allo sciopero già annunciato dalle federazioni nazionali: senza di loro non c'è sanità regionale né protezione per i cittadini e per le famiglie".